“Sognare Musica”: Stelvio Cipriani in un nuovo progetto che prende vita in questa serata speciale dove dirigerà l'Orchestra Roma Sinfonietta ed eseguirà brani tratti dalle colonne sonore di grandi compositori, da Carlo Rustichelli a Nino Rota e a George Gershwin, da lui rielaborate ed arrangiate. “Sognare Musica” è anche il titolo del suo nuovo lavoro discografico, che sarà pubblicato da CNI, dove il Maestro interpreta al pianoforte nuovi brani inediti di sua composizione, dove festeggia il compimento dei suoi ottanta anni con la sua eccezionale vitalità e creatività musicale.
Il suo legame col cinema è primario, ad oggi ha scritto più di 300 colonne sonore, in una vita che è segnata da un talento indiscutibile, dalla capacità di prendere al volo le occasioni e dalla scelta controcorrente di rimanere lontano dalle luci della ribalta.
Chi lo vuole, e sono in tanti, deve andare a bussare alla sua porta, che si è aperta tra gli altri a Grace Jones, Raina Kabaiwanska, Orson Welles e John Houston.
A qualcuno è anche tentato di dire di no: al grande regista giapponese Akira Kurosawa, per esempio, che gli chiede l’impresa apparentemente impossibile di rendere strumentale la romanza “Un bel dì vedremo”, dalla Madame Butterfly di Puccini. Ma la formazione accademica di Cipriani, che ama sopra ogni cosa Chopin, Bach e Beethoven, è classica e uno che si commuove entrando nella casa che fu di Chopin a Palma di Maiorca, non può non sentire come un sacrilegio un invito di questo genere. Ma Kurosawa lo convince e ne viene fuori un lavoro affascinante.
Lo cerca quell’enorme uomo di cinema che è stato Orson Welles e che Cipriani, conoscendo la sua fama di gran bevitore, accoglie con una bottiglia di Aperol e una di Cynar: scelta ingenua di chi non ha confidenza con l’alcool e infatti Welles lo costringe a mettersi in macchina con lui per andare a rifornirsi di gin, whisky e sigari cubani. Solo così si poteva parlare di lavoro, secondo i canoni di Welles.
“A George, te pensa a sonà la chitarra, che ai film ce penso io”. La battuta di un film anni settanta in salsa romanesca? No, la sintesi di un incontro, a New York, tra Stelvio Cipriani e un signore che aveva suonato la chitarra in una band di ragazzi di Liverpool, noti al mondo come Beatles. Sì, è proprio a George Harrison che Cipriani batte amichevolmente la mano sulla spalla, uscendo da uno studio cinematografico, a New York, dopo essersi aggiudicato la scrittura per la colonna sonora di un film, per cui erano rimasti in corsa lui e l’ex-beatle. E lo liquida con quella frase degna del migliore Tomas Milian al tempo dei suoi poliziotteschi romani.
Il riferimento a Milian non è affatto casuale, perché è proprio all’intuizione dell’attore cubano, che Cipriani deve il suo ingresso nel mondo del cinema: siamo alla fine degli anni sessanta e il giovane Stelvio è reduce da anni di viaggi, come pianista, al fianco di Rita Pavone, all’apice del suo successo. Quando incontra, a Roma, Tomas Milian, il cinema non è nelle sue mire professionali. Milian lo sente suonare e gli chiede se saprebbe comporre un deguello, per un film che sta per interpretare. Cipriani non ha la minima idea di cosa sia, ma si guarda bene dal dirlo. Però s’informa, scopre che è quel genere che accompagna molti western di John Wayne e lo studia, ne compone uno e il produttore a cui quel deguello è destinato ne rimane folgorato. Il film è “Bounty Killer“, del 1966, regia di Ignacio Martin, primo western per Tomas Milian e prima di una lunga serie di partiture per il cinema per Cipriani.
E poi spunta, nel racconto di una vita, anche Ringo Starr, a Roma per girare il film di Ferdinando Baldi, “Blindman”, nel ruolo di coprotagonista. E’ il 1971, l’avventura favolosa dei Beatles si era conclusa da pochi mesi, lasciando il mondo della musica orfano dei più grandi rivoluzionari dell’epoca e Ringo era ancora un idolo per milioni di fans. Le musiche di “Blindman” erano scritte e suonate da Cipriani e anche Ringo ne rimane affascinato, tanto da chiedere al maestro di poter assistere alle prove d’orchestra. E anche Ringo, come accadrà anni dopo con Modugno, vuole cantare il tema del film, ma non da solo. Una telefonata all’amico George Harrison e Cipriani e Ringo partono per Londra, dove, in uno studio di registrazione microscopico, sovrappongono temi e suoni dalla 12 corde di Harrison. Cipriani torna a Roma per completare l’opera, ma viene raggiunto da un telegramma di Allen Klein, ex manager dei Beatles, che lo informa che il progetto non può essere portato a termine, per questioni contrattuali che vincolano Harrison e Starr. Un’occasione persa, ma una gratificazione enorme per il Maestro, se anche quelli che erano considerati i portatori della musica più innovativa dell’epoca e forse di sempre, avevano apprezzato la sua musica.
E sì che, al tempo, Cipriani di soddisfazioni ne aveva avute parecchie. Era ancora nel pieno dell’ubriacatura di celebrità dovuta alla colonna sonora di “Anonimo Veneziano”, il film di Enrico Maria Salerno del 1970. Ma ammettiamolo: se pensiamo ad “Anonimo Veneziano”, il nome che viene in mente è quello dell’autore della colonna sonora, più che quello del regista. E proviamo ad immaginare quella storia senza quella musica. Sarebbe stata altrettanto bella e ricordata nel mondo? Forse no e quelle lunghe sedute di introspezioni coniugali, in mezzo alle calli della laguna, tra il malinconico Musante e l’algida Bolkan, sarebbero state meno plausibili, coinvolgenti e romantiche di quanto generazioni di spettatori abbiano potuto apprezzare. In quel film la musica ha sovrastato potentemente il meccanismo di una sceneggiatura incastrata ad arte sullo sfondo di una Venezia scolorata e grondante grigiore e drammaticità. E allora pensiamo allo sforzo che ha dovuto fare il musicista per entrare perfettamente nel “mood” del film, a quante volte abbia dovuto vedere e rivedere quel racconto sofferto, per cogliere tutto lo struggimento dei protagonisti che si allontanano e si rincorrono, si amano e si detestano, per restituirlo in musica.
Invece, con leggerezza disarmante, il Maestro rivela la magia del suo mestiere: “Ma guardi che io il film non l’avevo mica visto! Quando mi hanno messo di fronte alla pellicola, su un divano comodo, con un cappuccino e un cornetto, io mi sono addormentato. Sa com’è, la notte non avevo dormito, avevo fatto tardi a cena con amici, poi l’ansia dell’incontro col produttore e col regista del film mi aveva tolto completamente il sonno, così sono crollato e mi sono svegliato sulla scena finale. Mi sono chiesto: “E adesso?”. Avevo poche ore per consegnare la musica e allora ho barato: mi sono fatto raccontare la trama e con una foto di un primo piano degli occhi di Florinda Bolkan, mi sono seduto al pianoforte, mettendo insieme le poche impressioni che avevo raccolto, prima fra tutte la sensazione dello scandire inesorabile del tempo. Il suono del metronomo sul mio piano riproduceva esattamente i battiti di un orologio immaginario e sono partite le prime note. Così è nato Anonimo Veneziano”.
Un successo clamoroso, suonato dappertutto, cantato dai più grandi. Sul film di Enrico Maria Salerno una pioggia di premi, per Cipriani la fama internazionale. Poi il festival di Cannes. Grace Kelly, principessa di Monaco, vuole assolutamente che il Maestro suoni nel Principato. Le copertine dei giornali. Insomma, la mondanità reclama il suo protagonista, ma il Maestro si concede con discrezione.
Ma prima ancora c’era stato Henry Mancini: uno con un pedigree di 18 candidature e quattro Oscar, uno che aveva scritto una canzone immortale e senza tempo come Moon River, proprio quel musicista amatissimo nel mondo, aveva voluto incidere, come b-side di un suo 45 giri, il tema del secondo film che Cipriani aveva musicato, il western “Un uomo, un cavallo e una pistola”, del 1968. E, cosa incredibile, non aveva toccato nulla della partitura originale. Quel disco fece vendere a Mancini un milione di copie e, quando arrivò a casa Cipriani un assegno consistente, con cui gli si riconoscevano i diritti d’autore, fu il caos: “Quando mia moglie Wilma lesse la cifra- racconta con divertito candore il Maestro- si sentì talmente male per l’emozione, che dovemmo portarla in ospedale”.
Lo vuole James Cameron, futuro regista di “Titanic” (Oscar) e “Avatar” (Golden Globe), per il suo “Piranha”. E lo vogliono i grandi registi italiani, Carlo Lizzani, Dino Risi, Leandro Castellani, Steno, Pasquale Festa Campanile. Lo vuole il cinema, ma anche la Tv, quella degli indimenticabili sceneggiati degli anni ‘70.
Ma sono due gli incontri che Cipriani ama ricordare di più: quello con Domenico Modugno, il suo idolo da quando, giovanissimo musicista scritturato per suonare sulle navi da crociera, approdato a New York, spendeva il tempo libero nei negozi di dischi della città. Ma la ricerca di artisti italiani negli scaffali era vana, non c’era un solo nome che suonasse familiare al giovane Cipriani. A parte uno, Domenico Modugno, appunto, che, dopo il successo straordinario di “Nel blu dipinto di blu” aveva conquistato il pubblico di tutto il mondo. A quel tempo, per il giovane pianista romano, Mister Volare era un mito che non pensava di poter mai incontrare nella vita.
E’ invece Modugno ad innamorarsi della sua musica. Nei primi anni ottanta Cipriani firma le musiche di uno sceneggiato tv, “Western di cose nostre”, per la regia di Pino Passalacqua, di cui Modugno è protagonista. Mimmo vuole assolutamente rendere canzone il tema della colonna sonora e, naturalmente, deve andare a cercare il maestro a casa. Cipriani non crede ai suoi occhi quando, uscendo dall’ascensore, Modugno lo abbraccia come se fossero amici da sempre. E benchè il Maestro fosse già una celebrità da tempo, “a quell’abbraccio del mio mito- confessa- mi tremarono le gambe”. Da quel gesto di amicizia e di stima reciproca nacque “Un amore mai”, forse l’ultimo singolo che Modugno ha inciso e che Cipriani tiene, con giustificato orgoglio, in primo piano tra i tanti oggetti preziosi della sua lunga carriera.
E poi l’altro incontro, fondamentale, soprattutto per uno come lui che, nella sua scala di valori, mette Dio al primo posto (prima della famiglia e della musica). Si dice sicuro che, senza l’intervento di Dio, il suo talento non sarebbe bastato a realizzare una vita di successi e gratificazioni. E possiamo solo provare ad immaginare come si sia sentito, il Maestro, quando, un pomeriggio d’estate, riceve la visita di Papa Giovanni Paolo II, che, in totale anonimato, va a chiedergli di musicare un suo testo.
Un incontro emozionante, che porta alla pubblicazione di un disco, “La preghiera per la pace”, musiche di Stelvio Cipriani, parole di Karol Wojtyla. Ne va giustamente orgoglioso, Cipriani e ci scherza un po’ su: “Battisti aveva Mogol come paroliere- dice-, io ho avuto un Santo”. Non capita mica a tutti.
A Papa Woytjla, in occasione dei suoi venticinque anni di pontificato, aveva già dedicato un tema per pianoforte, “Il tema di Karol”, che più volte aveva suonato di fronte al Pontefice: “Trovarmi davanti a lui era ogni volta un’esperienza paralizzante. Mi è capitato di non ricordare neanche gli accordi per cominciare a suonare- ammette il Maestro-, ma comporre musica sacra e dirigere un’orchestra nella Basilica di San Pietro sono state altre possibilità che la vita mi ha dato per potermi avvicinare di più a Dio” .
Ma, nonostante una vita da romanzo, ancora oggi Stelvio Cipriani guarda al futuro con meravigliata curiosità: “Il punto più alto della mia carriera- dice- è quello che ancora deve venire”.
Seduto al pianoforte, accenna qualche accordo dei brani di questo “Sognare Musica”,un album in cui c’è , passione, vita, ricordo, dove c’è sempre la voglia di alzarsi di notte per mettere le mani sul pianoforte e ritornare a immaginare, a creare, a sognare musica, senza mai perdere il gusto per l’avventura dell’esistenza. Ha ragione lui: il meglio deve ancora venire.
(tratto da un’intervista di Ida Guglielmotti)