
Ciro De Rosa su “Blogfoolk” recensisce il nuovo album di Vito Ranucci "Napoli Inferno & Paradiso": “Se già parlare di musica napoletana non è sempre facile, figurarsi mettere mano ai classici della canzone d’arte partenopea, sia antica che recente. Si è cimentato nell’impresa Vito Ranucci, del cui precedente album, “KTC Killing the Classics”, Girolamo De Simone, notevole compositore di frontiera lontano da stereotipie identitarie e da leziosità accademiche, aveva parlato come di un’opera di “trasfigurazione” di partiture di musica classica. Con questo “ritorno a casa” Ranucci si rivolge a materia altrettanto difficile da manipolare come è la canzone di Napoli, non tanto per la sua presunta “sacralità” quanto piuttosto perché sono già esistiti interventi di rimescolamento, soprattutto nell’ambito della club culture e del DJing. In realtà, Ranucci non è nuovo a queste azioni sul patrimonio musicale locale, se si pensa al brano “Napoli Hard”, contenuto nel suo disco “Dialects”, dove metteva le mani sullo storico canto de “Lo Guarracino”. Compositore, arrangiatore e sassofonista Ranucci, attivo nell’ambito delle colonne sonore per il cinema ed il teatro che gli hanno fruttato importanti collaborazioni, fa parte di una schiera di artisti napoletani poco concilianti con una certa indulgente e compiaciuta autorappresentazione della metropoli mediterranea. Sul piano stilistico compositivo predilige la giustapposizione di registri e linguaggi, la mescolanza di timbri acustici e di elettronica: insomma una salutare con-fusione. Quanto al titolo provocatorio, “Napoli Inferno & Paradiso”, e alla scelta delle canzoni in scaletta, Ranucci dice: «Ho diversamente fruito di questi brani da piccolo, ho suonato nell’ambiente dei neomelodici, ho suonato ai matrimoni, trovandomi accanto anche a spacciatori e camorristi… L’ascolto di un classico napoletano riporta alla mia mente una visione molto meno oleografica della città, che mi restituisce una Napoli vera e reale, non da cartolina. Credo di aver conferito una verità a questi brani, in cui non leggo qualcosa di stereotipato o ingabbiato nel ruolo di souvenir di Napoli, ma qualcosa che vive e nel tempo si impregna di nuovi sapori e odori, ben lontani dalla radice dei brani in quanto semplici canzoni d’amore e di emigrazione. Il tempo che passa e gli accadimenti trasformano e plasmano i classici ogni volta che vengono eseguiti, giorno dopo giorno. Perché la musica subisce questo tipo di contaminazione dallo spirito umano». Continua a leggere su “Blogfoolk“