Il 2016 è l’anno in cui cade il segreto di Stato sulla misteriosa morte di Salvatore Giuliano.
Salvo Nigro con i Velut Luna e l’apporto fondamentale di Grazia Capone ai testi, con il progetto “Cumannanti Giulianu” hanno voluto porre l’attenzione su questa figura controversa, da una parte ritenuto colonnello di un esercito indipendentista nel corso della misconosciuta guerra civile della Sicilia all’Italia nel dopoguerra ma dall’altra protagonista di uno degli episodi più efferati della storia siciliana: la strage di Portella della Ginestra.
Giuliano muore nel 1950, a ventotto anni, ucciso, dicono le fonti ufficiali, in uno scontro a fuoco con i carabinieri di Castelvetrano, ma gli inquirenti stessi danno molte versioni differenti della dinamica dei fatti. Più chiari sono gli avvenimenti che ne hanno condizionato l’esistenza e ne hanno fatto, prima ancora che materia di pellicole cinematografiche, un personaggio leggendario, variamente interpretato e variamente amato o odiato. Di certo, la sua vicenda umana non prescinde dalle condizioni economiche e sociali della Sicilia occidentale postbellica, un’isola poverissima, in cui il 40% della popolazione è analfabeta, affamata dai pesanti razionamenti alimentari e sottoposta ad un durissimo controllo militare. D’altra parte, le famiglie mafiose cominciano ad infiltrarsi nelle maglie larghe degli apparati statali, dando di fatto inizio ad una connivenza stato-mafia che non si sarebbe più interrotta. Salvatore Giuliano ha 21 anni, quando viene fermato da un carabiniere, mentre trasporta, prelevati al mercato nero, due sacchi di farina caricati su un cavallo. Spara e uccide il carabiniere ed è lì che comincia la sua latitanza e una serie inarrestabile di crimini e sequestri, che, in sette anni, gli consentono di accumulare una fortuna. Fortuna che afferma di mettere al servizio dei più poveri e con la quale pensa di poter sottrarre i siciliani, vessati e sottomessi, al potere dei ricchi, mentre insegue il sogno di un’isola indipendente, separata dall’Italia e annessa agli Stati Uniti: per questo, quando, nel 1947, il giornalista americano Mike Stern lo rintraccia nel suo rifugio segreto sulle montagne di Montelepre e lo intervista per il periodico “True”, Giuliano gli consegna una lettera, da recapitare all’allora presidente USA Harry Truman, in cui chiede armi e finanziamenti per gli indipendentisti siciliani. L’intervista segue di pochi giorni la strage di Portella della Ginestra (1 maggio 1947), di cui Giuliano risulterebbe essere spietato esecutore (ma altre fonti affermano che fu una trappola congegnata ad arte per incastrarlo). Comunque siano andate le cose, si è trattato uno degli episodi più efferati della storia siciliana, compiuti ai danni della popolazione inerme: ci sono anche donne e bambini, tra i morti e i feriti di quella che rimane nella memoria collettiva una ferita difficile da rimarginare: la festa per la vittoria del sodalizio PCI-PSI all’Assemblea Regionale Siciliana, diventa teatro di un’esecuzione macabra e feroce. Undici i morti, ventisette i feriti. Ma con quella tragedia, nell’esistenza di Salvatore Giuliano le carte si rimescolano: il Robin Hood
che ruba ai ricchi per dare ai poveri, il latitante che progetta e compie crimini per la liberazione della sua gente, l’eroe popolare col sogno della politica, il ribelle fascinoso che guarda all’America, diventa, nella percezione comune, il criminale sanguinario e senza scrupoli, che fa affari con la mafia e prende ordini dalla politica. Comincia il declino di un fuorilegge che, per sette anni, aveva acceso e sostenuto le speranze degli ultimi, che era diventato colonnello di un esercito indipendentista, nel corso della misconosciuta guerra civile della Sicilia all'Italia nel dopoguerra.